Quest’anno ricorre il centenario della nascita dello scrittore siciliano Gesualdo Bufalino. I suoi romanzi sono tra i migliori della letteratura italiana del Novecento. Bufalino, oltre che scrittore, è stato un infaticabile lettore e un elegantissimo traduttore (Terenzio, C. Baudelaire, J. Giraudoux e altri).
Per rendere omaggio alla sua memoria e a una scrittura senza tempo ho immaginato un dialogo a distanza tra Bufalino e uno scrittore contemporaneo. Un insolito discorso amoroso sulla scrittura e sulla lettura, una confessione intima intorno e dentro la letteratura di ieri e di oggi a partire da alcune riflessioni dello scrittore siciliano tratte dal volume Cere Perse, Sellerio 1985.
(Mimma Rapicano)
***
Gesualdo Bufalino
Perché si scrive, mi chiedo. Perché ci si affanna a tessere sogni e raggiri, si dà corpo a fantocci e fantasmi, si fabbricano babilonie di carta, s’inventano esistenze vicarie, universi paralleli e bugiardi, mentre fuori così plausibile piove la luce della luna nell’erba, e i nostri moti naturali, le più immediate insurrezioni dei nostri sensi c’invitano al gioco affettuosamente, divinamente semplice della vita? (da LE RAGIONI DELLO SCRIVERE)
Veronica Galletta
Perché si scrive? Cosa mi porta a rimanere in casa in certi pomeriggi, i miei preferiti, quando il libeccio comincia a tirare e le nuvole corrono cambiando colore? Perché si scrive, mi chiedo, e la risposta non la conosco fino in fondo. Per questo, a volte, mi nascondo a tutti, anche a me stessa. E se mi chiedono: Esci oggi? No, il bambino non si sente bene, rispondo, mentre sono io, solamente io, a voler rimanere a casa nella speranza di riuscire a strappare quell’ora di tempo, quel paio di cartelle, quella pagina di appunti a cui anelo dalla mattina. Ha ragione, Bufalino, quindi, ma forse non del tutto, almeno per me. Io, per partecipare al gioco della vita, devo prima maneggiarla fra quattro mura, plasmarla sulla pagina, trasformarla in qualcosa che un po’ mi assomiglia, e così illudermi (perché di illusione si tratta) di controllarla. Solo allora posso uscire, e godere dell’affettuosamente, e del divinamente semplice del mondo fuori.
Gesualdo Bufalino
Scrittori della penisola, confrères, e se provassimo per un poco, un anno, sei mesi, a tacere? Un silenzio totale, soffice, color del miele… Senza più né un romanzo, né un saggio, né un elzeviro, né una poesia, né un panfletto, né un’intervista…
E allora su, facciamolo questo gesto: incappucciamo le stilografiche, disarmiamo Olivetti e Remington, dopo tanti corpo a corpo cruenti. E prendiamoci una stagione sabbatica, sperimentiamo per la prima volta nei secoli la Cassa Integrazione dell’Alfabeto. (da FIRME PER UN SILENZIO)
Veronica Galletta
Potremmo provare, in effetti, ma non so se servirebbe. Scaduto l’anno credo ci sarebbe un mese tutto di clausura, o forse anche due, durante i quali tutto quello che è rimasto intrappolato in testa, tutte le immagini, i personaggi, i luoghi, le situazioni che avremo comunque scritto pur senza scriverle si impossesserebbero delle nostre giornate, costringendoci a furiose sedute davanti alla tastiera.
Gesualdo Bufalino
In principio fu il Verbo, dicono. Vennero poi la Scrittura e la Lettura, speculari sorelle. Vogliamo dirla tutta? Nell’istante in cui l’appassionato di novità … si segregò a dilettarsene privatamente nel cerchio avaro di una lucerna, in quell’istante egli si condannò a patire le stesse equivoche estasi di chi ama non una donna di carne ma un pensiero di donna nella sua mente. A questo punto leggere divenne un vizio. Leggere per me significò soprattutto mangiare, saziare una mia fame degli altri e delle loro vite veridiche o immaginarie: dunque fu, in qualche modo, una pratica cannibalesca. (da LEGGERE, VIZIO PUNITO)
Veronica Galletta
Una pratica cannibalesca forse, una pratica di astrazione anche, così immateriale eppure così concreta, con lo stesso cuore in movimento di quando ero bambina, e le avventure dei pirati mi venivano a trovare di notte, a letto, con solo la lucina accesa. Con lo stesso spirito con cui mi dannavo perché nessuno diceva ad Alonso che no, non erano giganti ma solo mulini a vento, perché nessuno andava da Achab, ad abbracciarlo, a parlare un po’ con lui, per trascinarlo via dalla sua ossessione.
Gesualdo Bufalino
Non solo i diari, ma mi piacciono gli epistolari. L’idea di poter fiutare, palpare, pedinare, origliare il «quotidiano» di un autore che amo, di riuscire a rubargli quel segmento irripetibile di spaziotempo che è il «dove» e il «quando» di una sua giornata. Quando leggo, per esempio che la mattina di sabato 7 maggio 1921, a Baugy, in Svizzera, dal terrazzino della sua pensione, Katherine Mansfield vide un carro, tirato da una mucca e guidato da un ragazzo, avanzare lentamente verso un piccolo ponte; o quando appuro che il 21 dicembre 1845, domenica, Balzac restò chiuso in casa a soffiar l’anima in un fazzoletto, con la sola compagnia dei Tre moschettieri… ebbene, mi ci vuol poco per usurpare quell’occhio miope, quel naso fluviale; per patire, come se fosse mia, la memoria di quel tritume di vita. (da EPISTOLARI)
Veronica Galletta
Anche a me piacciono molto gli epistolari, e sono contenta di condividere questa mia passione. Fra i tanti, penso a “Delizie e crudeltà” di Truman Capote, lettere intime, delle quali partecipiamo. Scelgo questo attacco, in cui parla di Colazione da Tiffany, perché ne sento molto vicino l’approccio: Caro Dewey, mi è piaciuta molto la tua lettera. Rispondendo ad alcune delle tue domande: sì. Holly è una ragazza realmente esistita – ma le vicende descritte nella storia, o almeno la maggior parte, sono di fantasia. E anche, e forse ancora di più, sopra a tutto, “Lettere a Stalin” di Michail Bulgakov “Faccio appello allo spirito umanitario del potere sovietico e chiedo di essere, con magnanimità, lasciato libero, come scrittore che in patria non può più essere utile”.
***
Veronica Galletta. Nata a Siracusa nel 1971, vive da tempo a Livorno. Di formazione ingegnere, ha scritto diversi racconti pubblicati su varie riviste letterarie, tra cui Abbiamo le prove, Colla, L’inquieto e Flanerí. Nel 2013, con il monologo “Sutta al giardino”, ha vinto nel 2013 il premio per monologhi teatrali PerVoceSola del Teatro della Tosse di Genova. Nel 2015, con il romanzo “Le isole di Norman”, è stata finalista della XXVIII edizione del Premio Calvino. Nel 2017, con il romanzo “Pelleossa” è stata finalista alla terza edizione del Premio Neri Pozza nel 2017.
“Le isole di Norman”, pubblicato nella primavera del 2020 per i tipi di Gaffi -Italosvevo editore, ha vinto, nello stesso anno, il Premio Campiello Opera Prima.